Tuesday 3 July 2007

IL PACO, LA NUOVA DROGA DEL SUDAMERICA


"La Stampa" - REPORTAGE

BUENOS AIRES – Francisco ha 19 anni, si muove in continuazione e ha due occhi neri che non smettono di registrare tutto quello che gli passa intorno. Le bruciature sulla labbra se ne sono andate e le sue mani, dopo settimane di cura, non tremano più. Da 54 giorni è “limpio”, pulito. È uno dei veterani di Casa Flores, il primo centro di recupero per dipendenti del Paco, lo stupafecente ricavato dagli scarti del processo di lavorazione della cocaina che sta monopolizzando buona parte del consumo di droga in Argentina. “E’ stato il peggior incubo della mia vita - racconta - ma sto cercando di uscirne. Ho provato altre droghe ma questa mi ha distrutto. Inizi con una dose, l’effetto è fortissimo ma dura pochi secondi e allora ne vuoi subito un’altra, e poi un’altra ancora e così via. Non esistono vie di mezzo: dal primo giorno diventi un “adicto”, un dipendente”. Il nome tecnico è PBC, Pasta Base di Cocaina ma a Buenos Aires l’hanno già soprannonminata la “droga dei poveri”. Una definizione che inganna. Perchè una dose costa poco, dai due ai cinque pesos, su per giù un Euro, ma non basta mai: il “down” che arriva quando se ne va l’effetto della fumata è fortissimo e ti spinge a prenderne subito un’altra. Meno di un minuto. E non è nemmeno vero che lo usano solo i ragazzini delle Villas Miserias. Diversi adolescenti provenienti da famiglie di classe media si avvicinano al Paco perchè costa meno della marijuana e “sballa” di più. “Un consumatore abituale - spiega l’assistente sociale Cesar Fonseca - viaggia ad una media che va dalle sessanta alle cento dosi al giorno. Lo stato di depressione e di angoscia che arriva subito dopo ogni fumata è fortissimo, molto più delle altre droghe tradizionali. L’astinenza è insopportabile e la ricerca di denaro fresco per pagare la prossima dose è incessante”. I paco-dipendenti lavano i vetri per strada, elemosinano monete, scippano, rubano qualche banconota dal portafoglio dei genitori, vendono dischi, vestiti, scarpe da ginnastica. E lo fanno nel cuore della città. Nei parchi, per strada, alla fermata dell’autobus, dietro ad un albero, sotto un ponte ci si può imbattere in ragazzini alle prese con quello che a prima vista e da lontano sembra un comune spinello. Il grumo di polvere bianca, più spessa e dura della cocaina, viene bruciata e fumata con delle pipe di metallo ricavate da antenne di televisioni, piccoli tubi o usando delle lattine di birra. La “pietra” contiene residui di coca mischiata a cherosene, acido solforico, alcalina. Il metallo che si usa per aspirare brucia le labbra, arriva nei pulmoni, danneggia irremidabilmente l’apparato respiratorio. “La diffusione della pasta base – spiega Alejandro Corda della Ong “Intercambio”, incaricata dal Programma Speciale delle Nazioni Unite sulle droghe di tracciare una mappa del consumo dei nuovi stupefacenti nel Cono Sud – è parallela allo spostamento dei laboratori di produzione della cocaina dalle piantagioni dell’altipiano andino alle metropoli. E’ un fenomeno regionale: a Buenos Aires, Montevideo, San Paolo arriva oggi quello che in Bolivia chiamano da tempo “pitillo”, in Colombia “bazuco”, “kete” in Perù”. Le cucine, come vengono chiamate in gergo, sono nascoste in scantinati, anonimi appartamenti o tenute di campagna. La coca di qualità superiore si esporta nei paesi europei, compresa l’Italia, quella di media qualità finisce nel mercato locale, gli scarti diventano Paco. “Gli spacciatori – spiega Fonseca - hanno iniziato regalando bustine di un grammo di pasta base per ogni grammo di coca venduta. Una volta creata la domanda hanno fissato un prezzo, di 8-10 volte inferiore a quello della polvere bianca, conquistando così migliaia di clienti. Costa meno ma si vende più facilmente e la dipendenza è assicurata” A pochi isolati da Casa Flores c’è Casa Puerto, un centro analogo destinato però ai minorenni. Qui i pazienti vengono ricoverati giorno e notte. L’età minima d’amissione è di otto anni. “Abbiamo avuto casi di bambini di dieci, undici anni - spiega la responsabile Nelida Ortega - La diffusione della pasta base mette in evidenza l’esclusione sociale che esiste nel nostro paese ed è un prodotto delle scelte di mercato del narcotraffico. Tutte le droghe sono nocive ma questa è ancora più dannosa per gli elementi altamente tossici che contiene. Non è pura ma è più forte e più veloce delle altre. Uccide rapidamente o per le conseguenze sul fisico o perchè chi la consume finisce morto ammazzato in scontri tra clan o con la polizia”. Casa Puerto ha una capacità di trenta pazienti e uno staff composto da una ventina di specialisti divisi tra psicologi, medici e psicoterapeuti. Aperto dai primi di marzo ha ricevuto trecento visite e mille richieste di aiuto attraverso la linea telefonica abilitata per le emergenze. Ci sono corsi di teatro, musica, pittura e le riunioni di gruppo dove ognuno racconta la sua esperienza. I disegni appesi alle pareti ritraggono foglie di marijuana, mostri con pistole e fucili, scheletri che camminano in mezzo alla notte. Fantasmi che si ripetono, come l’immagine del “soldato”, il consumatore - spacciatore assoldato dai narcotrafficanti per vendere una determinata quantità di bustine ogni giorno. Se le può fumare tutte lui ma a quel punto deve rimediare i soldi prima della prossima consegna. Fuori dal centro c’è l’indiferrenza e persino l’ostilità dei vicini, che nel giorno dell’inaugurazione sono scesi in piazza contro la presunta invasione di un’ondata di piccoli delinquenti. La relazione tra il consumo di Paco e la piccola criminalità organizzata esiste ma viene anche alimentata ad arte dai mass media. I reportage della “televisione verità” argentina non hanno esitato a recultare dei giovani consumatori filmandoli con le armi in mano mentre si drogano e giurano di essere pronti a fare qualsiasi cosa pur di continuare a farlo. L’audiencie premia, l’emergenza resta. “La realtà – spiega Ortega - è molto più complessa e le responsabilità allargate. I nostri migliori alleati sono i famigliari ma molte volte per il degrado sociale non possiamo contare su di loro”. Al secondo piano della palazzina moderna dai vetri sbarrati c’è la stanza di Ana, dodici anni, arrivata un mese fa dopo esser stata fermata dalla polizia mentre cercava di rubare una moto. Magrissima, ha raccontato di esser scappata da casa e che da settimane girovagava senza meta in cerca di soldi per poter continuare a drogarsi. Ha già recuperato sette chili e va pazza per le lezioni di musica.

Emiliano Guanella
LA STAMPA, Primo luglio 2007


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